domenica 3 marzo 2013

Osservatorio Cise: La perdita di consenso dei partiti italiani e il successo di un nuovo attore politico


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di Nicola Maggini





Uno dei dati più rilevanti che emerge dalle elezioni politiche del 2013 è stato l’arretramento elettorale dei due partiti principali di centrodestra e di centrosinistra, ossia il Pdl e il Pd, rispetto alle precedenti elezioni del 2008. In questa sede cerchiamo di analizzare l’andamento dei principali partiti italiani con una comparazione diacronica che comprenda anche le elezioni del 2006. Come si può vedere dalla Tab.1, alla Camera il partito più votato è stato il Movimento 5 Stelle che, presentatosi per la prima volta alle elezioni politiche, ha ottenuto poco più di 8 milioni e mezzo di voti con una percentuale pari al 25,5%. Un dato sicuramente impressionante: mai nella storia della Repubblica dopo le elezioni del ’46 un partito nuovo aveva ottenuto una percentuale simile alle sue prime elezioni politiche. Il successo del movimento di Grillo sicuramente è avvenuto a discapito degli altri due principali partiti, il Pd e il Pdl. Oltre alla competizione costituita dal Movimento 5 Stelle, per spiegare l’emorragia di voti di Pdl e Pd si deve tenere presente che la partecipazione elettorale è diminuita di circa cinque punti percentuali rispetto al 2008 (passando dall’80,5% al 75,2%), pari a poco più di due milioni e seicentomila votanti in meno, ossia più del calo fisiologico della partecipazione dovuto all’avvicendamento generazionale (stimabile attorno a 2 punti percentuali di flessione). Il calo è stato ancora più consistente se si considera il 2006, quando la partecipazione fu dell’83,6%. Pertanto è ipotizzabile che una parte dei voti dati nel 2008 al Pdl e al Pd sia finito nell’astensione. Il partito di Bersani, infatti, è passato dal 33,2% del 2008 al 25,4% del 2013, perdendo per strada quasi tre milioni e mezzo di voti.
 
 E anche il confronto con la lista dell’Ulivo nel 2006 non è lusinghiero: i voti persi anche in questo caso sono stati circa 3 milioni e 300mila, passando dal 31,3% al 25,5%. Il calo del Pdl di Berlusconi è ancora più marcato, sia in termini percentuali che in valori assoluti. Il Pdl infatti è passato dal 37,4% del 2008 al 21,6% del 2013, ossia ben 15,8 punti percentuali in meno. Oltre sei milioni di elettori hanno abbandonato il partito di Berlusconi. Nel 2006 Forza Italia e Alleanza Nazionale avevano ottenuto (se sommati assieme) quasi 14 milioni di voti. Oggi tale consenso si è dimezzato. E anche se al Pdl di oggi sommiamo i voti dei due partiti “scissionisti” (Fli e Fratelli d’Italia), si arriva a poco più di otto milioni di voti. Decisamente una cifra inferiore rispetto ai circa 13 milioni e 600mila del 2008. Oggi il Pdl ha meno voti (sia in valori assoluti che in termini percentuali) di Forza Italia nel 2006. L’altro nuovo attore delle recenti elezioni politiche è stata la lista di Monti, che ha preso quasi tre milioni di voti, pari all’8,3%. Alla Camera la lista Monti sicuramente ha danneggiato i suoi alleati: Fli e l’Udc. In particolare, il partito di Casini, che nel 2006 aveva ottenuto il 6,8 % e nel 2008 il 5,6%, oggi non arriva al 2%, perdendo nell’arco di sette anni quasi due milioni di voti. Forte, rispetto al 2008, è stato pure il calo della Lega Nord, passando dall’8,3% al 4,1% e lasciando per strada circa un milione e 600mila voti. Se alla Lega Nord sommiamo i voti di Grande Sud-Mpa, possiamo dire che il partito di Maroni è tornato più o meno ai livelli del 2006 (quando aveva formato un cartello elettorale con l’Mpa). Se guardiamo ai partiti minori del centrodestra, si nota il calo de La Destra di Storace che con lo 0,6% ottiene la stessa percentuale della Fiamma Tricolore nel 2006. Nel campo della sinistra, si può invece dire che Sel ottiene più o meno gli stessi voti (e la stessa percentuale) della Sinistra Arcobaleno nel 2008, mentre Rivoluzione Civile ottiene meno voti sia nel confronto con l’Idv 2008 (ossia uno dei partiti che la costituiscono) sia nel confronto con la Sinistra Arcobaleno (formata anche in questo caso da partiti che ora fanno parte del cartello di Ingroia). Nel 2006 il Prc, i Comunisti Italiani e i Verdi avevano ottenuto, sommati assieme, quasi quattro milioni di voti. Oggi, se si somma Sel e Rivoluzione Civile, non si arriva ai due milioni. Si tratta pertanto di un’emorragia dei consensi per i partiti della sinistra “radicale”.
     Se si guarda ai risultati del Senato (Tab.2), le differenze più importanti da rilevare rispetto alla Camera sono che il primo partito è il Pd con il 27%, mentre il Movimento 5 Stelle si posiziona secondo con il 23,6%. La peggiore performance del M5S rispetto alla Camera (e la migliore prestazione del Pd) possono essere dovute sia alla differente platea elettorale (al Senato non possono votare coloro che hanno meno di 25 anni) sia alla possibile presenza del voto disgiunto: la percezione della posta in gioco in alcune regioni può aver indotto alcuni elettori del movimento di Grillo a votare per il Pd al Senato ai fini del premio di maggioranza regionale. Al Senato, poi, la coalizione di Monti si presentava con una lista unitaria che ha ottenuto il 9,3%, quasi la stessa percentuale della somma alla Camera di Udc, Fli e Scelta Civica (10,6%). La lista unica di Monti al Senato ha ottenuto più voti, sia in termini percentuali che in valori assoluti, non solo dell’Udc nel 2008, ma anche dell’Udc nel 2006 (quando il partito di Casini, ancora alleato di Berlusconi, ottenne quella che poi è stata la sua migliore prestazione elettorale nell’arco delle ultime tre elezioni politiche). In generale, comunque, per quel che riguarda il confronto con il passato vale per gli altri partiti quanto notato in precedenza per la Camera.
    In conclusione, queste elezioni politiche hanno registrato una accresciuta volatilità elettorale che ha riguardato la maggior parte dei partiti italiani, sfidati sia dalla crescente disaffezione dei cittadini nei confronti della politica (con un aumento significativo dell’astensione), sia da nuovi attori politici, in primis il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Tutto ciò sta a indicare come siamo entrati in una fase di riallineamento elettorale e di possibile destrutturazione del nostro sistema partitico.
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