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Editoriale di libero7,
Ci stanno salendo in tanti, sul carro di Obama:
opportunisti, opinionisti, politicanti di tutto il mondo (l’Italia, in questo
campo, è sempre ben rappresentata). Ma vediamo chi può occupare a pieno titolo
un posto, sul quel carro, accanto al 44° Presidente rieletto.
1. La
famiglia. Meravigliosa Michelle, si è gettata a testa bassa nella campagna
elettorale, percorrendo l’America in lungo e in largo, presenziando a rally e
trasmissione televisive, dando testimonianza di fede e di passione. Ovunque ha
portato il suo messaggio contribuendo a umanizzare il marito Presidente. Promettono bene anche le figlie: avete notato
Sasha che suggerisce al padre di voltarsi a salutare la folla dietro di lui,
appena prima del Victory speech di Chicago? A new dynasty is coming?
2. Joe
Biden. Il VP ha fatto il suo dovere, soprattutto nella fase più delicata della
campagna: il dibattito con Ryan è stato il momento chiave, Obama stava perdendo
consensi giorno dopo giorno, dopo il primo disastroso dibattito di Denver,ma la
sua coraggiosa prestazione contro l’avversario repubblicano ha in qualche modo
arrestato l’emorragia, ridando fiducia ai supporters disorientati e nuova
energia al Presidente. Eroico.
3. Bill
Clinton. The Big Dog è stato preziosissimo. Memorabile il suo discorso alla
Convention democratica, instancabile la sua attività di sostegno a Obama
durante la campagna. Tutto ciò non era scontato un paio di mesi fa, poi è
successo qualcosa che l’ha convinto a spendersi senza remore per la causa del
Presidente. Compito eseguito alla grande: se Obama è comunque riuscito a
raccogliere quasi il 40% del voto bianco, è in gran parte merito suo. Monumento
equestre.
4. Le
donne Afroamericane. Non hanno tradito Obama, l’hanno votato in massa (96%)
trascinando mariti, figli e fratelli, più riluttanti. Era prevedibile, ma si
temeva un appannamento dell’infatuazione per il “loro” Presidente. E invece no,
si sono mobilitate, l’hanno sostenuto e infine votato. Sista, this win is your win.
Affidabili.
5. Latinos
e Asians: le “minoranze” hanno votato massicciamente per Obama, risultando
decisivi in alcuni Stati (New Mexico, Nevada, Colorado e Florida). Se i Dems fidelizzano questo voto,
considerata la grande spinta demografica di queste comunità, potranno
mantenere la Casa Bianca a lungo. E non
mi stupirei se nel ticket del 2016 facesse la sua comparsa un politico latino.
Futuribili.
6. Lo
staff di Obama. I Chicago boys, capeggiati da Jim Messina e David Axelrod,
ancora una volta hanno fatto un lavoro eccezionale, rivitalizzando un partito
stordito dalla batosta delle elezioni di medio termine del 2010, rinvigorendo
la macchina del volontariato, e concentrando la campagna sugli obiettivi
giusti. Sono costati un bel po’, ma ne valeva la pena. Professionisti.
7. Nate Silver e Sam Wang. Non sono supporters,
e nemmeno fiancheggiatori. Si occupano
di numeri, e lo sanno fare bene. Prendono i sondaggi e li analizzano fino ad
estrarne l’essenza e ad attribuirgli il giusto peso. Con i loro metodi
(diversi, ma simili) sono arrivati alla stessa conclusione, che Obama avrebbe
vinto, e hanno azzeccato l’esito di tutte le sfide, compresa la differenza
finale nel voto popolare. Meritano un posto sul carro perché hanno sempre
creduto alla vittoria di Obama, anche quando (certi)i sondaggi sembravano
togliere certezze, e nonostante alcuni analisti mettessero in dubbio le loro
capacità predittive. Profetici.
8. L’Ohio.
Se nel 2008 era stata la chiamata della Virginia a far scattare i
festeggiamenti, stavolta l’onore è toccato al Buckeye State. La battaglia
elettorale qui è stata durissima, entrambi gli schieramenti hanno investito una
bella fetta del loro budget, alla fine gli ohioans hanno resistito alle sirene
repubblicane, e hanno premiato la continuità. Firewall.
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