E’ questo l’interrogativo che gli analisti inglesi si pongono il giorno dopo le elezioni politiche che hanno visto arrivare primi i Tories di David Cameron, che sono il partito di maggioranza relativa con 305 seggi ma non possono teoricamente governare perché la maggioranza richiesta a Westminster è 326 seggi. I Labour del premier uscente Gordon Brown perdono 94 deputati rispetto alla precedente legislatura e raggiungono quota 255. La prassi vuole che in assenza di maggioranza assoluta, in caso quindi di “Hung Parliament” (Parlamento appeso), sia il primo ministro uscente a tentare di formare il nuovo governo. I numeri però lo scoraggiano: i laburisti tenteranno di trovare l’accordo con Nick Clegg, leader dei Liberaldemocratici vera delusione di questa tornata elettorale con i loro 61 seggi. La matematica è impietosa, perché insieme arrivano a 316 seggi, sempre lontani da superare il quorum. Trovare l’accordo con i partiti minori è difficile. Quindi che succede?
Per Clegg il diritto a (tentare) di governare spetta al leader del partito di maggioranza relativa, quindi a Cameron. Ma prima di provarci con i Liberaldemocratici, cercherà un accordo con gli Unionisti dell’Irlanda del Nord. Eppure i Laburisti tenteranno il tutto per tutto: “Il Paese ha bisogno di un governo forte e stabile”, ha detto Brown. “Non credo ci siano problemi se si cerca di dare al Paese un governo”, ha aggiunto in un’intervista alla Bbc il ministro del Commercio (e numero due del governo uscente) Peter Mandelson. Concorde il collega dell’Interno Alan Johnson: “Se la volontà del popolo è che nessun partito abbia la maggioranza assoluta, è nostro dovere comportarci da uomini politici adulti e maturi. Penso che abbiamo parecchie cose in comune con i Liberaldemocratici”. Ovviamente non è d’accordo Cameron.
Prima il suo portavoce sostiene sia stata “una vittoria decisiva per i conservatori e un chiaro no ai laburisti. Con questo risultato possiamo governare”, mentre per lo David “emerge chiaramente che il Paese ha bisogno di un cambiamento e un cambiamento richiede una nuova leadership”.
Il terzo sfidante, Clegg, ammette la delusione elettorale: “E’ stata una serata deludente, dopo una campagna piena di ottimismo e speranza”.
Intanto c’è polemica sull’esclusione dal voto di centinaia di elettori rimasti in fila per ore senza alla fine poter votare. Ipotizzabili ricorsi da parte dei candidati sconfitti con stretto margine. L’incertezza, la probabile instabilità politica hanno avuto effetti anche sulla sterlina, che affonda: il pound è sceso in tarda mattinata sotto la soglia di 1,45 dollari (non accadeva dall’aprile 2009) toccando quota 1,4473 dollari per poi andare, dopo le dichiarazioni di Clegg, sopra 1,4630 dollari. Si prevedono giorni difficili per l’Inghilterra; vista la crisi che sta attraversando l’Europa, forse si può dire che queste elezioni le hanno perse tutti.
Nicolò Bagnoli
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